L’area dei laghi prealpini, che pur rientrando in una zona continentale, di primo acchito non sembrerebbe ideale per questo tipo di coltivazione, in realtà gode di un particolare microclima, che ha contribuito a far crescere e prosperare questa pianta. Un grosso merito va all’acqua del lago, che funzionando da serbatoio di calore e umidità, consente a terreni fertili di origine morenica di ospitare persino colture d’origine sub tropicale, come oleandri, viti, agrumi e ulivi.
La coltivazione dell’olivo, sulle sponde dei principali laghi insubrici, non è una novità o un particolare esperimento degli ultimi anni, ha in realtà origini antichissime, certamente di età preromana, come testimoniato da numerosi documenti storici e dal ritrovamento dei resti di antichi frantoi.
Nel corso dei secoli la produzione dell’olio insubre ha mostrato andamenti altalenanti, come nel resto della penisola.
Nel 1600, con la dominazione spagnola e l’introduzione di una pesante tassa sugli uliveti, la produzione subì un nuovo arresto, per riprendersi durante l’illuminismo, grazie allo sviluppo del libero mercato e all’abolizione dell’imposta. Nel settecento è stata introdotta la coltivazione del gelso per l’allevamento dei bachi da seta e nell’ottocento si è preferito estendere i vigneti, coltivazioni che hanno via, via preso il posto degli ulivi.
Con l’avvento dell’era industriale molti uliveti furono sostituiti da colture più resistenti alle gelate, tipiche della zona e l’olio dei laghi insubri andò a quasi a scomparire, trovando poi una rinascita verso il nuovo millennio, diventando così un prodotto di nicchia, raro e apprezzato dagli estimatori.
Le olive coltivate sul lago Maggiore e sul lago d'Orta erano di pezzatura piuttosto piccola, tipo quelle dell’attuale “leccino”, però la resa in olio era veramente elevata.
Documenti datati attorno al Mille menzionano oliveti sul Montorfano e in Ossola, e altri, ne confermano la presenza nel periodo che va dal X al XV°.
Le zone di coltivazione erano i paesi collinari nella zona sopra Arona, a Gattico, Dormelletto, Barquedo, Massino, Nebbiuno, Lesa, Belgirate, Suna, Stresa, Oggebbio Mergozzo, l’Isola Madre ma anche Ghiffa e il Lago d’Orta.
Particolare poi la posizione di Cannero Riviera, con la sua insenatura naturale che la ripara dai venti freddi e la posizione soleggiata permette stagioni simili a quelle marine, il clima temperato in estate e mite d’inverno ha favorito una vegetazione varia che accanto alle tipiche piante da lago come camelie, rododendri e azalee, ha visto da sempre proliferare cedri, limoni, aranci, palme e olivi.
Sulla sponda piemontese si trovavano capaci frantoi e grossi torchi in funzione a Borgomanero, Massino Visconti, Miazzina e ovviamente Cannero Riviera.
L’olio che si otteneva dalla spremitura delle olive del Verbano era di particolare pregio in quanto, oltre al sapore estremamente delicato e al bassissimo grado di acidità, vantava, per effetto delle particolari condizioni di clima e di composizione del terreno, una combinazione organolettica tale da renderlo straordinariamente digeribile e vitaminico.
Per tutti questi motivi veniva utilizzato in molte diete alimentari e in particolare era indicato per quelle dei bambini, degli anziani e per i malati che si recavano sul lago Maggiore per la convalescenza.
Fino agli inizi del novecento era un ricercatissimo e pregiato elemento di alta gastronomia e c’è ancora qualcuno che ricorda con nostalgia quanto fosse impareggiabile e unico il filetto del pesce persico del lago fritto nell’olio del Verbano.
Nei primi anni del novecento ha avuto inizio la seconda fase discendente degli uliveti del lago Maggiore. Molti morirono e nell’inverno del 1929, a causa del clima rigido, si arrivò all’estirpamento quasi totale delle piante.
Negli ultimi decenni la coltivazione dell’olio d’oliva è ripresa sulla sponda piemontese. I primi appezzamenti, riportati alla coltivazione dell’olivo, sono stati in una zona storica di questa pianta a Solcio di Lesa, grazie all’intervento di più soggetti quali la Facolta’ di Agraria dell’Universita’ di Torino, il Consorzio per la Tutela dell’olio extravergine d’oliva Piemonte e Valle d’Aosta e l’associazione Piemontese Olivicoltori (Asspo), in collaborazione con le istituzioni locali. Il primo ad aver recuperato quest’attività nel VCO è stato il Dottor Angelo Sommaruga con 12 piante, arrivate poi a 200 negli ultimi tempi, proprio sulla collina del Monterosso sopra Verbania. Recuperando così terreni destinati a bosco senza cura e con esso l’aspetto estetico del paesaggio, favorendo anche la regimazione delle acque e la stabilità dei versanti degradanti sul lago.
Nel 2010 la produzione era già in decisa crescita portata avanti sia da agricoltori professionisti che amatoriali. Con circa 1500 piante di olivo, tra le varietà Frantoio, Leccino e Pendolino, distribuite nella fascia lacustre che interessa i comuni di Verbania, San Bernardino, Oggebbio, Cannero, Stresa, Baveno, Brovello Carpugnino, Cambiasca, Miazzina. Per una produzione di circa 300 litri, dal punto di vista organolettico eccellente.
E nello stesso anno nasce l’Associazione Produttori Olivicoli del VCO con 7 soci fondatori, arrivati a 20 nel 2015.
Si realizza una piccola produzione di ‘olio extravergine del Verbano’, nelle sue bottigliette. L’offerta, come prevedibile, non riesce per ora, a soddisfare la domanda che coincide in prevalenza con la ristorazione di fascia elevata, in attesa che la quantità cresca con la maturazione delle piante, la cui messa a dimora spesso risale a pochi anni fa.
Sulla sponda lombarda gli ulivi erano presenti alla rocca di Angera, a Ispra e nella conca di Leggiuno. Esistono ancora i frantoi alla Rocca di Angera e all’interno dell’eremo di Santa Caterina del Sasso a Leggiuno.
Anche qui come sul Lago di Como, tra il settecento e ottocento, del secolo scorso, questo tipo di coltivazione venne estirpato per fare posto ai gelsi, per l’industria tessile e alle viti.
Negli ultimi anni gli ulivi hanno ripreso a essere piantumati, rientrando nel progetto “Olio del Verbano” rientrante nella disciplinare“Olio laghi lombardi”. Nel 2011 è stato impiantato un piccolo uliveto a Germignaga, poi nel corso degli anni sono state messe a dimora circa 600 piante, il più possibile vicino al lago. Nell’area attorno ad Angera, nel lavenese, da Arolo alla zona Eremo di Santa Caterina del Sasso, Cellina, Reno e Ceresolo, nel luinese, a Porto Valtravaglia.
Il tutto in attesa della prima spremitura.
testo tratto da: http://www.labissa.com e colospaola.wordpress
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